venerdì 23 marzo 2012

IL GATTO NERO

Come al solito andai a buttarmi sul letto.
E mi misi a guardare il soffitto come a pregare un dio che conoscevo solo io e che naturalmente proteggeva solo me. E nessun'altro. Era per me un concetto di Dio abbastanza veritiero che condividevano un pò tutti, anche intere nazioni.
   Un concetto di Dio bello e trasparente come il gallo di vetro che avevo sul comò. Un pò fragile a dire la verità ma molto estetico, e molto poco etico. Proprio così come ero io.
   Sul mio letto stavo sempre abbastanza bene, era il mio unico posto al mondo dove davvero non mi sentivo estraneo.
    Lei si avvicinò e si sedette accanto a me.
    Non si coricava mai se non per far l'amore e per dormire, per nessun'altro motivo. Per me invece tutti i motivi erano buoni. Mi diceva sempre un mio amico pizzaiolo: "te ami il letto".
    - Dove cazzo hai preso quel gatto nero? - disse.
    - Milano.
    - Perchè?
    - Una petroliata.
    - Ci dovevi avere per forza il cervello cotto.
   Cominciò a lisciarsi le cosce con le sue cazzo di mani affusolate. Sempre dipinte con uno smalto rosa moscio. Pensava di sedurre gli uomini con quel suo dannato smalto della minchia. Il bello era che ci riusciva. Pure con me c'era riuscita. La stronza. Mi faceva pena a pensarci bene, io invece mi facevo pietà. Lei una rovinata, io uno spaccato di comprendonio. Mi veniva da ridere in un certo senso. In un altro certo senso mi veniva da piangere. Sempre per lo stesso e unico motivo. Ero da ricovero.
   La dentatura lei ce l'aveva già atteggiata a bocchino, con i denti pronunciati in avanti. Infatti era imbattibile. Per quel suo pregio m'era venuto in testa una volta sola di sposarmela.
Mi salvava nella mia vita il fatto che ero parecchio silenzioso, altrimenti un 50 elettrochoc non me li toglieva nessuno.
    Era una ragazzina e si atteggiava a vergine. Camminava con le punte dei piedi sempre tenute all'indentro. Segno evidente di gambe strette e verginità. Ma lei mi aveva già confessato un paio di aborti. Comunque camminava con le punte dei suoi bellissimi piedi all'indentro, e sembrava una vergine perfetta. Poi con quel suo smalto rosa arrapante ma svogliato alle unghie. Io sempre sdraiato sul letto come al solito. 
   Guardò di nuovo il mio bel gatto nero.
   - Quei gatti della malora da noi gli sparano con i fucili da caccia. - disse. - Quello è un gatto da sparargli, porca paletta, sembra un demonio finito e rifinito.
GD ANGELILLO
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