sabato 23 giugno 2012

PINOCCHIO (autobiografia in piccolo di un misero scrittore)

   Pinocchio ha un naso così grande che praticamente ha due teste. Una testa di legno e una testa gonfia di bugie. Così siamo tutti se avessimo in testa almeno una mollica di verità. Ma abbiamo solo un bambino rompicoglioni nel cortile del nostro nulla che ci chiama Dostoevskij solo per prenderci per il culo.
   Son nato col cervello a scirocco e non posso farci niente. Quando siamo entrati in questo stanzone di matti c'erano due metri di neve e un'armata di diavoli a far scivolare la gente. Io ebbi difficoltà a entrare perchè ero troppo grosso e l'anima del mio lumicino troppo piccola. Ma comunque nacqui a casa, con uno stuolo di panni da lavare e fratelli che manco sapevo chi erano. Fave, farina e ricotte fatte di fresco. Ceci di capre, sarmenti rosicchiati e sale da pestare nel cazzatoio di legno. Mi fecero togliere il disturbo quasi subito, e andai ad appendere le mie mattane nella casa di fronte. Sarei stato per sempre: "quello della casa di fronte". Lì mi feci il mio angolino e mi misi da subito a leggere giornaletti spinti, le gesta dei patrioti americani e l'enciclopedia degli antri di tutte le fate.
   Lì c'era una nonna che mi viziò e una mamma che fece di me un principe anche se ero un accattone della peggior specie.
   Avevo pure un amico immaginario, il fantasma del Louvre che mi raccontava tutte le grandi imprese di Napoleone e Garibaldi. Per il resto la poesia si mise a suonare le sue campane e io diventai sordo del tutto. Ma non come Beethoven per la troppa musica ma come un semplice parolaio per le troppe balle.
   I miei genitori adottivi mi hanno voluto bene, forse troppo, infatti sono un pò rovinato, gli altri dispersi in Russia nel freddo gelo di questo mondo astruso.
   Son scappato via appena ho potuto, proprio come Pinocchio, ma invece di vendermi l'Abbacedario, me li son comprati tutti quelli che ho trovato sulla mia strada. Con il misero risultato che ho una seggiola che mi traballa e un letto corto che mi escono sempre i piedi fuori.
   Per il resto spero di non partire anch'io per la Siberia per una lettera letta avventatamente in pubblico. Ma non corro questo rischio semplicemente perchè non sono Dostoevskij, anche se è un mio caro fratello.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

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lunedì 30 aprile 2012

LO SCRITTORE NERO

Derek Raymond pop art by Soldato Rock (blogspot)
   Hai pensato persino di andartene da solo a svernare nel caldo del letto della più assoluta solitudine per poi magari alzarti e vomitare sul tappeto tutta la sbornia dei tuoi bisogni insoddisfatti.
   Comunque si passa tutti da miliardi di alberghi per evitare per qualche giorno il letamaio cronico della nostra casa avvinazzata.
   Metropolitani allo sbando a trincare ruhm cubano e caramellati francesi. Mentre tutti ci consigliano di dirottare destino e karma verso lidi più salutari, e di smetterla con la puzza del fiato del nostro più becero qualunquismo di artisti appiedati.
   Ci siamo sbandati, diciamo la verità. Siam finiti per cascarci a faccia a terra sulla nostra maledizione d'accatto che ci dirige sempre nel deserto arido del prossimo albergo, dove a sorpresa scopriamo la basilica barocca della nostra più derelitta lussuria. Con un deposito di giornali pornografici come di centomila galere. Eppure eravamo così seri una volta, così pieni di aspettative alte e nobili. Qualcuno di noi amore lo chiamava perfino, esagerando alquanto sia di propositi che di felicità.
   Ora abbiamo perso il sonno perfino. E ci crediamo perfino dei criminali. La compagnia degli assassini ci è assicurata comunque dal buon andamento delle cose e dei giorni, come pure quella dei cadaveri.
   Di mattina, al solito parecchi despressi, ci accendiamo una sigaretta, così tanto per aiutare le prime luci dell'alba, e ce ne andiamo di sotto come se niente fosse.
   - Ci hai dato dentro di brutto stanotte, marpione, non negare. - ci dice il barista, appena alzato e tutto pimpante, a vederci sfatti e malandati.
   - Come no? - rispondiamo con la nostra aria di saputi, di vecchi comandanti di lungo corso che ne hanno viste davvero di belle e di brutte, di cotte e di crude, ma quasi tutto a colore nero della notte, così simile a quell'inchiostro che da sempre ci pulsa nelle vene.
GD ANGELILLO
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POESIO E SUA MADRE

"Capelli Bianchi", pin up pop art by Soldato Rock (blogspot)
   - Sono nato a 40 anni, quando è morto mio padre. Se non moriva, quel poveraccio, gran lavoratore, io non potevo nemmeno cominciare a vivere. - disse Poesio.
   Un seguace della cabala boema. Seguace della cabala più intricata del mondo. Seguace di quel Leone del Golem per intenderci.
   E con noi c'era Andrea Englander. Come cialtrone non è che mi piacesse molto. Ma mi ci ero affezionato nonostante tutto come a un mio  migliore amico.
   Per strada con la mia solita valigia piena di spaghetti Divella a cercare un nuovo alloggio. A quel tempo mi portavo sempre dietro una macchina da scrivere da anteguerra, pesante come un demonio.
   Stava aspettando la sua tipa il bonaccione neonato, poppante e fuori di testa. Noi non vedevamo l'ora di telare invece... Quando d'improvviso arrivò una stangona, bellissima e giovanissima, ma con tutti i capelli bianchi. I capelli bianchi di una vecchia. Forse anche lei era nata a 50 anni, anche se non li dimostrava.
   Ci bloccammo distratti da quella improvvisa apparizione fantastica e perturbante allo stesso tempo. Ci dimenticammo persino che dovevamo cercar casa, altrimenti a notte  avremmo dormito all'addiaccio.
   La pensione dei Barlettani a Piazzale Lotto era proprio l'ultima risorsa.
   - Vi presento mia madre. - disse il matto.
   Noi spalancammo gli occhi per la meraviglia.
   - Ma che? Ci prendi in giro? - disse Englander.
   - No, nient'affatto. Io sono stato generato a questo mondo da lei che mi ha amato per la prima volta nella mia vita.
   - Ehi! Ehi! Ma che affare è questo? Riavvolgi il nastro per favore. T'ha messo al mondo una donna che a occhio e croce ha la metà dei tuoi anni? - si stupì Englander.
   - Esattamente. - disse Poesio, il matto.
   Noi scoppiammo a ridere.
   - Sei completamente pazzo ma anche un dritto parecchio formidabile. - disse Englander.
   - E' tutta fortuna. - dissi io.
   - Beh, ragazzi, ora devo andare. - disse lui.
   Capelli Bianchi ci sorrise e ci affondò.
   Noi invece dovevamo darci da fare di brutto se non volevamo rimanere a piedi per la notte, infatti la sera già avanzava a larghi passi.
GD ANGELILLO
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PIN UP E JAZZ BAND E SOGNI A TUTTA FURIA

pin up pop art by Soldato Rock (blogspot)
   Ti faceva arrivare uno sguardo languido e dolcissimo che ti stendeva senza nemmeno farti sapere perchè. A te o qualsiasi altro che si credeva chissà che anche in fatto di cocomeri.
   - Ma chi è? E chi l'ha fatta venire fin qui? Te o il diavolo? - s'inquietava il Superbone.
   Allora qualcuno gli almanaccava lo spartito del gatto mammone. Lui si metteva a studiare con attenzione tutta la situazione e come prima non ci capiva un tubo.
   Minchia, se era bella e erotica!
   Stendeva tutti quella lì, con un solo gancetto del suo reggicalze. Era bellissima, e tutto quanto il resto. Ci faceva flippare di brutto.
   Comunque sia era quasi sempre occupata. O con il taccuino o con i suoi pensieri. Raramente qualcuno le telefonava. Allora spariva per 3 o 4 giorni. E nessuno sapeva per dove. Chi diceva Parigi. Chi New York. Chi la Gerusalemme Celeste.
   Andavamo sempre a vederla. Là sul balcone del ruffiano carmagnolo. Un gran bordello di sguardi fissi proprio sulla camminata del san Carlo, il salvatore di Milano, chissà quanti secoli fa.
   Noi andavamo su e giù e guardavamo che succedeva. Quasi mai nulla per noi.
   La ressa da fiera delle domeniche ci faceva sempre più vagabondi. Poi verso sera, là sulla piazzetta del San Carlo, veniva una jazz band con un cappello a terra a suonare.
   E allora ci spostavamo là a passare il tempo e a continuare a sognare.
GD ANGELILLO
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mercoledì 25 aprile 2012

COMPAGNO DI CAMERA

    Mi stava davvero sulle balle. Quando mi parlava non stavo nemmeno a sentirlo.
    - Ma siete mai andati a Parigi?
    Non ce la feci e gli dissi:
    - Io sono andato a Parigi che tu stavi ancora a poppare il latte di mammuccia.
    - Esagerato, come al solito.
    Mi faceva innervosire e basta, così, come al solito, non gli risposi più.
     Voleva dirmi qualcosa di brutto e come al solito la prendeva alla lontana.
    - E se sai dov'è Parigi perchè la tua tipa ci è andata da sola?
    - La mia tipa?
    - Già la Tea, non ci stai più insieme? Che peccato, una figona come lei. Ci hai perso molto... Lei nulla...
   Io mi alzai dal letto e gli dissi a muso duro:
   - Ma che minchia stai dicendo?
   - Ah, vedo con piacere che non ne sai niente.
   - Perchè tu che ne sai?
   - Abbastanza. E' andata a Parigi e tu non l'hai accompagnata.
   Io allora mi rivestii e misi le mie 3 cose nella mia valigia. Non sarei stato un minuto di più compagno di camera di un bastardo di quella portata.
    - Sono andati con le femministe del collegio di via Modena a raccogliere qualche bel fiore del male del grande Baudelaire. - disse e si mise a ridere.
   - Chi si innamora è sempre un idiota. - disse ancora.
   Io me ne andai senza dirgli più niente.
   Gli innamorati idioti. Forse aveva ragione, come tutti i più grossi bastardi. Comunque lui andava avanti a smanettamenti e non credo che fosse così furbo come voleva dare a intendere.
GD ANGELILLO
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CERCANDO DOSTOEVSKIJ

Una volta persi un ritratto di Dostoevskij e per ritrovarlo ritrovai invece un crocefisso, piccolo ma ben fatto, chissà da quanto se ne stava là sotto, poi trovai una foto di una ragazza che mangiava in piedi un piatto di spaghetti e poi finalmente ritrovai lui, Dostoevskij.
   Sotto il tavolo di lavoro avevo come al solito un intero bazar buttato alla rinfusa. Carte di cioccolato, scartocci di paste alla crema, ritagli di giornale, elastici per libri rotti, polvere di mesi, appunti vari, giornali satirici vecchissimi, foto di donnine seminude, giornali americani scaduti e arciscaduti, riviste di parrucchiere ecc. ecc. ecc....
   Per me era un simbolo quel che avevo ritrovato cercando Dostoevskij, anche se non sapevo di cosa, spaghetti, spiritualità, erotismo, meditazione, romanzi, cioccolate...
   Chissà perchè gli uomini separano sempre tutto a scompartimenti stagni. Un io non deve sapere quello che fa l'altro io. Un io diverso per ogni scompartimento stagno separato dagli altri. Ma un romanziere ha tutto alla rinfusa dentro e allora non può permettersi di avere io diverso da quello che scrive. Forse...
   Dostoevskij mi aveva detto: "Non scordarti di Cristo". Chissà se lo avevo capito. Credo di no. Capisco così poche cose io nella mia vita.
   Capisco mille volte di più le donnine nude. Ma cosa significano per davvero anche loro? L'erotismo, va bene, ma dopo?...
   Ne abitava in quei giorni una proprio vicino alla mia porta. Non le avevo mai parlato. Ma sapevo che era lì. Una sera mi sorrise e io non seppi che fare perchè praticamente non me l'aspettavo proprio. Comunque ci presentammo e ci conoscemmo. Mi invitò nella sua camera e mi preparò un piatto di spaghetti. Dopo mi disse che quel pomeriggio aveva abortito. Io rimasi di ghiaccio e non sapevo più che dirle. Praticamente mi freddò. Poi mi disse di giocare a scopa. Facemmo 3 partite e vinse lei tutt'e 3 le volte. Dentro io avevo qualcosa di bloccato. Pensai seriamente quella volta di smetterla con questi romanzi per non dover scrivere di queste storie assurde.
   Poi lei mi diede una fotografia.
   "Ricordati ogni tanto di me", mi disse semplicemente.
   Quella foto la persi quasi subito perchè mi ricordava la morte. Eppure lei era bella e quasi nuda.
   Mi disse che era attrice di film, e pure di documentari. Me ne stetti bene attento a chiederle di quali film e di quali documentari.
   Quando quella sera me ne ritornai in camera mia mi dissi:
    "Io sono soltanto uno sbruffone, altro che romanziere".
    Credo che si chiamasse Giovanna e che fosse di Bergamo, credo pure che non sia più viva da molto tempo. Non ho assolutamente bisogno della sua fotografia per ricordarmela ogni tanto.
   E ogni tanto riesco pure a dirle una preghiera con un semplice sorriso, pensando di sfuggita al suo bellissimo e tristissimo sorriso.
GD ANGELILLO
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lunedì 23 aprile 2012

LA MODELLA DI BAUDELAIRE

La modella di Baudelaire, le avevamo dedicato almeno 50 raccolte di poesie maledette, tutti noi vecchi bonzi della pensione Buon Ritiro, gestito da una signora dei gabinetti, perchè la padrona era sempre in Friuli a far svernare la sua dannata sciatica.
    Si poteva sentirla fino a notte fonda adescare clienti alla buona e mettersi a lavare le sue mutande di pizzo pregiato per l'arrivo di un nuovo buzzurro di periferia. E il rubinetto che scrosciava e la luce a intermittenza del suo lume paraerotico, che chissà per quale maleficio non si fulminava mai. E la porta che sbatteva e frusciava a seconda della mancia dell'avventicolo.
    Quel palazzo fatiscente era una piazza di morti da qualsiasi punto di vista ti mettevi a considerarlo, sempre cadaveri in giro e anime dannate. Ma tutto quel tramestio di spiriti arrapati ti faceva sentire meno solo in tutto quel vituperio di strade sporche e campi pieni di spazzatura.
   - Ehi, Englander. - dissi piano tanto per non farmi sentire dagli altri auslander che ci dormivano vicino.
   Ma Englander dormiva della grossa già da mezz'ora. Così lo svegliai.
   - EHI, ENGLANDER!
   Minchia, svegliai quasi tutti pure, suscitando immediatamente un vespaio di bestemmie e di maleparole.
   - Che c'è? T'ha morso una tarantola?
   - Andiamo a dare un'occhiata alla modella di Baudelaire?
   - Ma sei fuori? E' una troia quella?
   - E allora? Non morde mica.
   - Magari mordesse soltanto... T'attacca la sifilide se solo le sfiori la bernarda...
   Ci rimasi secco.
   - Ma che dici?
   - Hai capito benissimo! La sifilide! Domani chiedi alla signora dei gabinetti se non mi credi... E ora lasciami dormire per favore...
    Gli altri grugnavano, indispettiti.
    - Ma non ve le potete fare domani le vostre ragionate del cazzo? Vogliamo dormire noi...
    - Maledizione, si dorme qui. Non è mica la balconata per farci i comizi della minchia...
GD ANGELILLO
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LA LUNA GIRA IL MONDO E VOI DORMITE

   Il vecchio Ernesto.
   Il vecchio Ernesto era quel vecchio scrittore che tutti frequentavamo alla cadente Statale per averci delle dritte su come andare alle case editrici e sputtanarci alla grande.
   Ogni tanto ci andavo anch'io. Così tanto per passarci un pò di tempo. Sentire qualche cazzata, ridere un pò, e mettersi di sbieco in buonumore così a buonmercato.
   Ernesto Rosenbaum era un sapiente che leggeva il Talmud nei suoi 127 volumi di 1000 pagine ognuno. Suonava pure un piano dipinto sul suo tavolo di legno. Noi non la sentivamo la musica perchè il nostro spirito era sordo e per di più addormentato, ma lui che riusciva ad ascoltare perfino la musica delle stelle, sì che la sentiva.
   Era capace di parlarci di Spinoza per ore intere di seguito. Una volta Superbone gli portò per scherzo una pianola elettrica e , dannazione!, la sapeva suonare benissimo.
   Non era un sicofante sparaballe, questo era sicuro. Una volta, sempre lo stesso Superbone, gli tirò una martellata sul piano dipinto e il soffitto urlò come un dinosauro che gli avessero tagliato la coda.
   Io con le cose che mi disse su Spinoza in una sera ci ho scritto un libro di 500 pagine.
   Una sera ci disse che in gioventù aveva litigato a Parigi con il giovane Sartre enumerandogli uno per uno i 37 errori di etica del suo ultimo libro. Sartre per riprendersi da quello smacco scrisse un romanzo su un intellettuale fallito.
   "Tutta la vita di un uomo non è altro che un singolo giorno di Pasqua", ci disse un giorno.
   - Cosa vuoi dire? - gli chiesi.
   - Siamo di passaggio ma come in una grande festa. - disse lui e mi sorrise.
   Assomigliava come una goccia d'acqua al pittore tedesco George Grosz, solo un pò più vecchio.
GD ANGELILLO
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L'ITALIA E IL VECCHIO PAGANINI, BARBIERE E MUSICISTA

   - E l'Italia?
   - Beh, si sa che ci nuotano le papere intorno. In primavera ci fioriscono i limoni e bla bla bla. I turisti ci vengono anche d'inverno perchè le lasagne sono buonissime.
   - Chi è che viene in Italia?
   - I turisti.
   - Sarà per caso. I turisti girano tutto il mondo, si sa. Un posto vale l'altro per loro. Vengono da soli o qualcuno li accompagna per mano. Non c'è da fidarsi, se gli piacciono le lasagne, possono dire tutte le minchiate che gli passano per le retrovie del cervelletto.
   Il vecchio Paganini si storse tutto sulla sedia e diede un'occhiata al gran disco del sole al tramonto. Ne aveva viste tante nella sua vita e ancor di più ne aveva suonate. Il suo chitarrone era il migliore del paese. E anche i capelli li tagliava non c'è male.
   - Quel sole lì ne capisce più di tutti i turisti del mondo messi insieme. - disse.
   - E cosa dice? - chiesi.
   - Sta sempre zitto, ma riscalda tutto il mondo senza fare mai una stupidaggine soprattutto.
   - Perchè, i turisti?
   - Mai nessuno capirà niente dell'Italia.
   - Perchè?
   - Perchè l'Italia è come un sogno, si può vedere, anche toccare, mangiarci, farci l'amore, dormirci, girarla pure in lungo e in largo, ma in realtà non esiste nemmeno.
   - Cosa vuoi dire?
   - Esistono tante Italie proprio quanti sono gli Italiani, ognuno assolutamente diverso dall'altro, ma l'Italia vera e proprio non esiste. Tanto vero che anche lo stato in Italia è qualcosa che non dovrebbe nemmeno essere...
GD ANGELILLO
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L'AMERICA

   L'America.
   L'abbiamo scoperta per fame noi l'America, mica per divertirci. Colombo e i Fiorentini gliel'avevano detto a tutto l'orbo terracqueo che lì c'era la fortuna, l'oro e il futuro, tranne che a noi pirla d'italiani. Le navicelle in prestito da quei vecchiacci di sovrani spagnoli, i marinai delle galere di Siviglia. E noi invece a zappare la terra dura e perfino le pietre. Finchè ci fecero arrivare pure a noi la notizia che da quelle parti crescevano foreste intere di cioccolate, c'erano mari di coca-cola, catene montuose intere di gomma da masticare. Così ci buttammo a pesce nel mito e non ne uscimmo più. Con la pioggia e con il sole, con la bufera e la bonaccia: film, rock e pin-up. La maledetta vita cambiò di colpo, e cominciò a piacerci assai. Anche in quei circoli di vecchi contadini che coniugavano ancora la scuola con il verbo nulla. Che non leggevano le lettere dei parenti di Chicago o di San Francisco perchè non sapevano leggere nemmeno 1+1.
   Io avevo una cugina di New York che si chiamava Ofelia, venne solo una volta in Italia ma mi insegnò a baciarla dietro la nuca. Le nostre case non avevano nemmeno l'acqua corrente, loro invece se ti sorridevano non te le scordavi più, per tutto il resto della tua gioventù.
   Gli italiani non hanno scoperto l'America, è l'America che ha scoperto gli italiani. Io personalmente aspetto di essere scoperto scrittore a New York mica a Milano. E come  quella caterva di matti che credono ancora nelle stecche di cioccolate buonissime americane.
GD ANGELILLO
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venerdì 20 aprile 2012

UN NATALE MILANESE

Natale a Milano in un cinema.
   Sei in armonia con te stesso? Allora va bene lo stesso. Tanto domani è festa uguale. La maledetta festa? Tanto lei non c'è comunque.
   - Sei tu?
   - Perchè stavi aspettando qualcun'altro?
   - No.
   Già, non lo stava aspettando, perchè magari c'è già insieme. Forse pure nel caldo del suo letto.
   - Sei sola?
   - Perchè lo vuoi sapere?
   - Perchè ti amo.
   - No, perchè sei terribilmente geloso.
   - E anche se lo fossi?
   - Sei il solito assurdo maschilista possessivo!
   E meno male che le sto telefonando per augurarle il Buon Natale.
   - Ho passato da solo il Natale.
   - Ora non farmi il piagnucoloso pietoso, per favore.
   - No, ti stavo solo dicendo che ho fatto oggi.
   - Non ti sento più bene... Forse è la linea...
   Forse è il suo nuovo bastardo piuttosto.
   - Beh, Buon Natale, comunque...
   - Parimenti in famiglia...
   - Non ti sento più...
   TRACK
   Comunicazione interrotta. Può essere, era pur sempre una telefonata internazionale. Siamo pur sempre a Milano qui, mica alle masserie di Mungilevacche...
GD ANGELILLO
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I SOLDI LI PERDE CHI CE LI HA


Giuseppe D'Ambrosio a 16 anni alle Casermette di Acquaviva, dopo una partita di calcio tra amici
 Vincite zero.
   Nessuno che ci badava a queste occhiatine nel buco del culo della fortuna. Ognuno carezzava il suo gallo di ceramica sul comò, quello della rivoluzione francese per intenderci, e si mandava un bacio alla luna, per un miglior prossimo avvenire, per tutti naturalmente, nessuno escluso. Si guardava la fotografia dell'amore in sudtirolo, forse già in viaggio come tante per New York, e auguri alla canzone di Guccini, quella che diceva sempre: Vedi, cara, e se non vedi accendi la luce...
   La foto di lei che sorrideva e non guardava. Quella di quando tutti i termosifoni erano spenti per la crisi del petrolio e noi si era tutti abbracciati l'uno all'altra per farci più calore, e magari pure farci all'amore.
   Vinto mai niente io, nemmeno una bottiglia di grappa al luna park. Si giocava a pallone alla rinfusa, chi vinceva vinceva, tanto si giocava sempre tutti insieme, e le schiappe ce le dividevamo equamente tra di noi, così tanto per non far sentire escluso proprio nessuno, e in special modo noi stessi, che eravamo gli ultimi e senza la fisima assurda di diventare primi. Sì, primi alla corsa del panzerotto fritto...
   Mille traslochi e sempre solo con noi la borsa piena di spaghetti Divella che ci aveva propinato nostra madre, che non si soffrisse la fame almeno, nella grande città.
   - Ho perso i soldi.
   - Minchia, hai perso i soldi? E quanto hai perso?
   - Duecento lire.
   - Ma vaffanculo! Manco i soldi per comprarsi un giornale pornografico!
   - E cosa volevi? Che perdevo un miliardo? Un morto di fame come me?
   - Già, chissà cosa mi hai fatto credere.
   - Ehi, abbiamo sbagliato tram...
   - Già, per pensare a tutte le tue speculazioni in borsa andate così a male son 50 volte che stiamo sbagliando tram!
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PARTENZA PER L'UTOPIA E ARRIVO NEL NERO IGNOTO

Partenza, pronti via!
   Da clandestini anche noi. Mica ce l'avevamo la birra da regalare al controllore, meno che mai al bigliettaio. Si era suicidato per amore il bigliettaio di Acquaviva. Figuriamoci se avevamo voglia di comprarci il biglietto, anche ammesso e non concesso che ce l'avessimo avuti i piccioli.
   A piedi fino all'autostrada. A piedi fino al porto. A piedi anche sul mare in tempesta. Era davvero molto lontano il posto che ci eravamo messi in testa di raggiungere. A pensarci bene ci voleva pure una scala per il cielo, non ce l'avevamo ma ci stavamo attrezzando anche per quello. Utopia si chiamava la città dove avevamo tutti scelto di andare a studiare. Ci siamo laureati tutti là, miliardi di batoste in testa, lode e bacio accademico del mostro preistorico di turno.
   Freddo, neve, nebbia. Odor di diavoleria, odor di Lombardia. Valige di cartone, borse piene di spaghetti Divella numero 7 ristorante, come se a Milano non si vendesse la pasta, portafoglio vuoto e gambe intirizzite. Ma chi ce l'ha mai fatto fare di venire a respirare quest'aria tutta piena di carbone, di dolori e di guai allo zafferano giallo? Me ne stavo così bene io tra i mandorli in fiore e il fico fiorone...
   Già, ma poi chi ci avrebbe mai gonfiato il grugno a furia di correre dietro la luna, i pitecantropi e gli alluvinati di cervello? Il mondo è sempre stato metà malo e metà bono, farlo tutto bono Dio non ci ha pensato manco di striscio. Troppe teste calde a predicare l'avemaria. Tutte intenzioni lodevoli per carità, ma quante carrettate di spaccati di testa e di nasi rotti per un nonnulla, per uno iota compreso all'incontrario. Io la capii subito l'antifona. Tutti poeti non si può essere, altrimenti chi si alza per andare a cucinare le fave?
   Di botto diventarono tutti cani sciolti, più o meno come adesso. Il mio guaio era che io ero un gatto nero. Così per la mia salute e il mio decoro smisi di colpo di andare in giro di giorno. Diventai un animale notturno. Metropolitano lo ero già diventato con la mia prima fuga per non pagare la multa per un tram che avevo preso senza biglietto. Ma a quei tempi non si usava di avere queste minime attenzioni. Era al mondo intero che volevamo metterci in testa un bel berretto caldo.
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ALLA CONQUISTA DEL MONDO

Castello Normanno di Acquaviva
L'inizio. Il mio paese lo fondarono in 3 giorni i Normanni venuti dall'England. Nell'anno 1000. Non sto scherzando. E' la Storia. Tirarono su il comò della loro forza e ci restarono 100 anni. Poi, si vede, ebbero da fare altrove nel Mediterraneo o in qualche altro oceano più divertente di questo.
   Anch'io cercavo divertimenti a quei tempi. Quando avevo 16 anni voglio dire. Io sono un tipo maldestramente allegro. Solo che a cioccolate da regalare sono un pò a terra. Così mi diedi alla pallavolo, al cinema e ai fumetti spinti contemporaneamente.
   I miei amici non mi capivano. Io cercavo di fare il mio meglio per restare il più possibile incompreso. Mi trovavo meglio così.
   Al paese a quei tempi, ma credo ancora adesso, tutti parlavano invariabilmente di sesso.
   - Da quanto non fai?
   - Minchia, io non ho mai fatto nella mia vita!
   Mi ricordo che un mio amico, Donato il Padovano, disegnò una figa e un bambino che se ne usciva fuori e lì ci scrisse: "Peppino Amalostia, l'ultima volta che ha visto una figa". Il bello fu che fece questa eccelsa opera d'arte proprio vicino al citofono di casa di Peppino Amalostia, nell'attesa che scendesse per andare a giocare al biliardino. Quando Peppino scese e vide lo scempio si incazzò come una iena e per quel pomeriggio si rimase senza giocare a biliardino.
   Tutti calmi, in attesa di andare all'Università di New York per conquistare il mondo, e tutte le sue donne, è naturale. Non ci fossero piaciute le donne ma chi ci avrebbe mai pensato di andare all'Università? Per andare a vedere le barbe canute dei professoroni non di certo.
   - Che vai a studiare?
   - Ginecologia. Sai, voglio prendermi la specializzazione in ficologia.
   - Ma credi di essere spiritoso, mona?
   - Macchè! Mai stato così serio in tutta la mia vita.
   Tutti figli di contadini, di macellai, di pastori ladri. Ma sapevamo tutti Platone a memoria. In greco per sovrappiù. Scherzavamo con tutto ma non con i libri. Ce ne mangiavamo a colazione 3 o 4. Tutte le mattine, in attesa di prendere il treno per il Liceo di Gioia.
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CALZE DI SETA FRUSCIANTI

Calze lunghe fino all'orlo del baratro...
    Lunghe lunghe fino all'infinito, perchè nel caso non l'aveste ancora capito ero capitato dalle parti del suo comodo divano letto, grosso e spazioso come una piazza d'armi. Ci poteva manovrare un reggimento per quanto era largo e spazioso. E dormirci con tutto quel frastuono che facevano le sue calze di seta era praticamente impossibile. Così me ne passai la notte in bianco, così senza manco pensarci un minimo a lamentarmene... e per dirci la verità chi mai ci pensava anche solo di straforo?...
   Lei mi aveva fatto una intera conferenza su cos'era l'amore, in che consisteva il matrimonio, e che numero di scarpe portava la sua anima. Troppo per un tipo che viveva alla giornata come me. E così lei mi baciò una sola volta e mi mise a cuccia...
   Io ci rimasi contento, tanto la prima avanzata l'avevo fatta, dipendeva da cosa avrebbe fatto il corpo d'armata per l'indomani, era evidente. Così smisi di parlare e mi misi a pensare. Lei smise di parlare e si mise a dormire.
   Poi come a un tratto si sveglia e mi si butta addosso tutta infoiata. Aveva dormito molto bene si vedeva. Beh, io siccome mi trovavo già sul suo letto non mi feci pregare troppo, tanto era già sveglio e pronto all'uso. Ma... così come d'un tratto aveva iniziato così d'un tratto smise e ricominciò di punto in bianco a ronfare.
   - Ehi! Ehi! -le feci io, alquanto interdetto. - Ma come si chiama questo gioco al tuo paese?
   - Doccia scozzese. - disse lei e si mise a ridere.
   - Io ti adoro e tu mi fai questi scherzi della malora?
   - Tu è le mie calze che adori, brutto porco. - disse lei e scoppiò di nuovo a ridere.
   Ragazzi, per non farvela lunga non ci combinai niente nè dormii nemmeno un minuto. Perchè devo dire quaresime per pasque se è andata proprio così. Ma le calze di seta è vero che mi facevano rabbrividire tutto per come si misero a frusciare per tutta la notte. Son sicuro che non se le tolse proprio per questo. Per farmi sfriggere per tutto il tempo di stramaledetto erotismo tassativamente tutto sognato soltanto...
GD ANGELILLO
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giovedì 19 aprile 2012

DUE GAMBE FANTASTICHE

Lei aveva due gambe bellissime che andavano avanti e indietro quasi fossero i compassi dell'universo. Misuravano l'anima degli uomini e stabilivano che non valevano nulla davanti a quello stupendo spettacolo.
   Io me ne stavo in un cantone, tranquillo. Volevo ubriacarmi ma avevo paura di beccarmi una sbornia triste che m'avrebbe riportato a casa mille volte peggio di quando c'ero uscito.
   - Hai due gambe così belle che stenderesti sul tappeto anche un direttore di monaci nel chiuso del suo monastero santo. - dissi alla stangona. - Dovresti andare alla Scala a vendere il pesce. No, non scherzo. Vai avanti e indietro come una venditrice da urlo. Ma tu stai zitta e quindi sei 54.000 volte più forte. Non scherzo. Sei uno schianto col botto. Conosci Braccio di Ferro? Farebbe a botte per te.
   - CHE CAZZO DICI, STRONZO? - urlò lei.   
   Non aveva capito un bel nulla di tutto quello che le avevo detto. Io le avevo fatto i miei migliori complimenti e ero quasi sicuro che s'era offesa a morte. Con due gambe perfette come le sue per giunta. Si guardò in giro se caso mai vedeva un vigile urbano, ne ero sicuro. Voleva certo farmi fare una multa almeno.
   - Ti ho chiesto se conosci Braccio di Ferro. Lo conosci? Saresti una Olivia perfetta per lui. Gli romperebbe il muso a tutti i rompicoglioni come me, te l'assicuro. Non sto scherzando. Dico sul serio.
   - MA SEI UN FUORI DI TESTA O SEI UBRIACO? - urlò di nuovo lei.
   - Non so. Credo tutt'e due le cose. Ti offendi forse? - dissi io.
   - MA VATTENE A FANCULO!
   - Olivia non è così male. Braccio di Ferro è sinceramente innamorata di lei, e fà a botte per lei a più non posso. Non sto scherzando. Dico sul serio. Con quelle gambe faresti innamorare anche lui. Non era una presa per il culo. Era un complimento. Solo che tu non l'hai capito. E me ne dispiace perchè davvero le tue gambe mi piacciono molto. Sono da capogiro. Te l'assicuro. Infatti la testa un pò mi gira. E non è solo la birra. Te l'assicuro.
   - MA CHE CAZZO FARNETICHI, BRUTTO STRONZO?
   - No, non sto scherzando. Ho detto che se tu andassi con quelle gambe a vendere il pesce alla Scala faresti dei grossi affari. E non solo tu ma anche la Scala e il pesce. E naturalmente chi se lo comprerebbe, e sarebbero davvero in tanti. Ne sono sicuro. Il pesce fa bene alla salute. O non lo sai? Hai due gambe fantastiche. E dico molto poco a dire solo fantastiche.
    La ragazza se ne andò ringhiando come una furia e non mi disse più niente. E anche le sue gambe bellissime se ne andarono come se stessero misurando la distanza siderale tra un balordo fuori di testa mezzo ubriaco come me e la felicità dell'amore.
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PASSAPAROLA
  

L'ORSO E LA BIONDA

Il vecchio Orso si tolse la pelliccia e rimase solo con la sua dentiera che non spaventava più nessuno ormai. Sotto aveva solo una massa di muscoli flaccidi. Aveva una panza così grossa che forse erano anni che non riusciva più a vedersi il pisellino. Aveva davvero un'aria da tregenda.
   - Guarda che ti denuncio. - mi disse.
   - Il motivo? - gli chiesi.
   - Non c'è motivo.
   Allora si alzò e si avventò su di me come un grosso armadio che cadeva. Ma io non ero così pivello come credeva lui. Almeno non da rimanere allo stesso posto di prima con lui che mi crollava addosso.
   Quando si ritrovò per terra e io in piedi al suo fianco quasi non credeva ai suoi occhi. Si alzò infuriato e offeso per quello che riteneva un affronto da parte mia per non lasciarmi menare come aveva preventivato lui.
   Allora presi una sedia e l'alzai per farlo desistere dal suo proposito di rissa.
   - Ti spacco. - mi disse.
   Non si era ancora del tutto alzato e allora io gli sfasciai la sedia con tutta la mia forza sulla testa. Benchè fosse grosso e abbastanza ben nutrito si afflosciò su se stesso come un pallone che perde abbastanza aria.
   Non gli avevo fatto assolutamente niente. Forse mi aveva preso per qualche altro. Chissà. 
   La sua tipa a vederlo steso a terra svenuto ebbe un mezzo sorrisino. Era una bionda che sembrava aver fatto 500.000 film d'avventure sulla tangenziale est di Milano.
    - E' proprio un gran pezzo di merda. - disse quella, come commento a tutto il mondo.
   Io me la filai, perchè in quel posto manco ci volevo entrare.
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UN BICCHIERE DI VINO

Se ne stava lì a bersi il suo bel bicchiere di vino e minchia se era 3000 volte più bella lei. Mamma, se non mi mandava fuori soltanto a guardarla.
   Allora Doris spiccicò le prime parole della serata.
   - Sei un maledetto cretino! - disse.
   Io nemmeno l'ascoltai.
   Il problema era che non avevo niente nel portafoglio, nè nelle tasche, nè nelle calzette striminzite.
   - Ma che fai?
   - Non ci ho un soldo.
   - Sapessi la novità.
   - Mi presteresti un 50?
   - Per far che?
   - Insomma... Non l'hai capito?
   - Che tu sia un porco è un bel pezzo che l'ho capito...
   - E allora?
   - Non li vado mica a rubare io i miei soldi.
   E di colpo se ne scappò piangendo.
   Io mi grattai la testa per la figura di merda, ma continuavo a non aver soldi. Figurati se quella statua di cera del mondo a venire si lasciava impressionare da una figura del menga del suo possibile cliente.
   Io comunque la guardavo. Era una potenza della natura. Semplicemente.
   - Ahò, che cazzo guardi? - mi disse lei a bruciapelo.
   - Non ci ha il becco di un quattrino il papero. - disse qualcuno. - E ha pure il fegato di guardare.
   - Lascialo perdere, che quello sembra un tipo pericoloso. - disse un altro.
   Io me ne fregavo, continuavo a guardare finchè ne avevo voglia. E non ci voleva nessun fegato per farlo. Non c'era mica una legge che vietava di guardare una puttana anche se si era senza soldi.
   Solo quando mi stancai di tutta quella cazzata, mi alzai e me ne andai.
   Nessuno disse niente. Comunque io me ne fregavo.
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mercoledì 18 aprile 2012

LA STRADA PER MILANO

E come no?
   Dopotutto la vita la si passa perlopiù a sventagliare cose senza senso tutt'intorno.
   Che farci?
   Mica tanto.
    Me ne andai a Milano perchè la parola di mio fratello s'era nel frattempo occupata a Roma.
    E' ridicolo, me ne rendo conto: ma il destino di un ragazzo è un filo di tela di ragno appeso al soffitto che il vento mica ci pensa poi tanto di far girare dove vuole lui.
   Andate voi al negozio se ne siete capaci a compravi un destino benevolo e confortevole e tutto quanto come volete voi, nemmeno i ricchi, credo, ci riescono, anche se naturalmente hanno tutto il resto degli altri negozi di cianfrusaglie a loro assoluta disposizione.
    Ma io un destino abbastanza passabile non me lo son potuto comprare nemmeno di seconda mano, nemmeno di terza o di quarta, a pensarci bene.
   Ma un destino vale l'altro e la giornata ha da passare in un modo o nell'altro.
    Il diavolo ci mette del suo e la malinconia non ti spiega proprio un bel niente, chissà perchè, con tutte quelle arie di maledetta intelligenza che si dà qualcosa potrebbe pure almanaccarla. Ecco perchè io sono convinto che è sempre meglio l'allegria, non ti spiega nulla nemmeno lei, e poi ci ha quella sua aria da perenne cretina ma almeno non ti illude. E' più onesta, a mio modo di vedere. E poi conviene di gran lunga.
   Andai a ficcarmi in un'osteria di malaffare appena arrivato. Piena di teste calde e cuori fritti. Ero in buona compagnia certo. Appena seduto, davanti a un piatto di pasta e fagioli, la pasta assolutamente, come al solito, del tutto scotta, venne a piantarsi davanti a me una puttana. Aveva annusato il pisquano appena arrivato dalla Terronia con 4 lire spaiate in tasca.
   Quanto a visuale lasciava molto a desiderare. A parlarci ti faceva scendere il latte dai cosiddetti.
   - Ce l'hai un deca? - mi chiese.
   - Per avercelo ce l'ho.
   Che dialettica micidiale.
   - Ti vuoi divertire?
   - Anche il papa si vuole divertire, solo che se lo può permettere quando vuole.
   Minchia, un'altra battuta come quella e svenivo.
    - Che fai stanotte?
    - Vado a lavorare. - dissi e era vero.
    Lei sbuffò alquanto scocciata e se ne andò senza salutare.
    "Un altro terrone squattrinato", la sentii mormorare a un'altra prostituta come lei.
    - Dai, bella, andiamo. - le disse un autista grosso come un armadio e con un naso a patata rosso paonazzo di avvinazzato.
    - Un pò di maniere, che diamine! - disse lei, e mi squadrò di sottecchi di sfuggita.
    Come se non l'avessi capito che era cotta e stracotta dalla vita...
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CRIC CRAC FECE LA CHIAVE NELLA TOPPA

Meglio sedersi sullo sgabello scalcagnato di casa propria che sulla poltrona della casa degli altri.
    Non sapeva neanche di striscio di chi mai poteva ritrovarsi davanti, così mi portò a casa sua e mi disse: "Sei un tipo".
   La ringraziai, se non ero un tipo dovevo pur essere di qualche altra razza di barattolo. Un tipo, ma non siamo tutti un tipo? Una altezza di intelligenza da dare al capogiro, ragazzi. Bellissima, del resto. E uno, per di più tipo come me, possibile mai che si mettesse a pensare all'intelligenza in frangenti stupendi come quelli? E' ridicolo perfino che ve lo precisi, ma quella sberla poteva dire tutto quello che voleva con me: io non avrei battuto certo nessun ciglio.
   Andammo a casa sua e lei mi disse:
   - Sbrighiamoci, tipo, che tra mezz'ora al massimo arriva il mio fidanzato.
   Magnifico, giusto il tempo che mi serviva.
   Freddissimo come un dannato orso polare caracollai come un frankenstein arrapato fino al suo divano, e là mi misi ad aspettarla. Lei fece come se fosse a casa sua. Si spogliò e mi venne vicino. Certo il suo negozio di indumenti intimi femminili doveva fare affari d'oro con lei. A far sbandare di testa gli uomini ci metteva il singolo tempo di spogliarsi. Era bellissima, e la sua sola vista mi sbronzò di brutto di eccitazione.
   E proprio in quel momento sentii qualcuno che armeggiava con la toppa della serratura dell'ingresso facendo cric cric con la chiave.
    - Cazzo, mio marito! - disse lei.
    E letteralmente mi buttò fuori dalla finestra. Meno male che eravamo a pian terreno, così io non ebbi nemmeno il bisogno di mettermi a volare.
    Non m'ero tolto nemmeno il giubbotto, certo che come dongiovanni da strapazzo avevo un grande futuro davanti a me.
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LA BAMBOLA

- Ma cosa ne vuoi sapere tu di me?
   Mi guardò dolcemente come per farmi capire che mi compativa.
   - Ne capisco, ne capisco. - disse in maniera enigmatica.
   - La vuoi anche tu una bella bambola da strapazzare a piacimento senza che ti rompa troppo le palle? Sarebbe una cuccagna prima di andare a letto la sera...
   - Io per conto mio ce l'avrei già. Il fatto è che nemmeno quella la reggo troppo.
   - Si vede che non è come la mia.
   - Devo andare a fare la spesa ora. - disse lui.
   - Scappi?
   - Grazie, è lo stesso.
   Ci guardammo, ancora una volta senza capirci. Era la solita sbobba da galera cittadina. Era la conferma della mia teoria estrema sulla solitudine. L'inferno sono gli altri, diceva Sartre. Già e noi? Mica scherziamo pure noi. Chiunque possiamo mai essere.
   - Ti manderò un mio racconto. - disse lui.
   - Non spendere troppo in inchiostro. - dissi io.
   - Ti saluto.
   Se non mi salutava era meglio.
   Se ne andò via con tutte le finestre inesistenti della sua monade.
   Andando via mi disse ancora qualcosa, ma chi se ne fregava... Credo che mi disse: "Non sprecarti troppo". Io ero già tutto sprecato prima che nascessi, pirla.
   Io per intanto non mi permetterei mai di dire a qualcuno di non sprecarsi. E' proprio da bastardi pensare una cosa del genere, figuriamoci dirla.
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SPAGHETTI SCOTTI

- Ci hai dato qualche forchettata almeno?
- A cosa?
- Al sentimento naturalmente.
- Una forchettata?
- Il registro del tuo piacere lo sai a memoria, lo so. Ma il tuo cuore che dice? L'hai lasciato sul comò? In compagnia del gallo di ceramica forse? A lato delle riviste pornografiche? Altrimenti parlamene un pò per favore.
   Uno schiaffo in piena faccia, lo devo riconoscere. 
- Il cuore me lo porto sempre nel petto io, altrimenti non saprei come fare. - mi venne di dire e dissi.
- E allora perchè fai finta di essere un pezzo di cemento tutto schifato di qualsiasi cosa per di più?
   Non seppi che rispondergli e non gli risposi niente.
Il genio non ha mai pietà degli altri poveri umili mortali. Ma forse questo già lo sapete, ragazzi, se avete mai letto qualche loro libro. Ma avercelo davanti è tutta un'altra storia. Da impolverirsi almeno, e se ti va bene.
   Lui allora cominciò a scrutarmi come se fossi un demente, ma di quelli furiosi pure.
- Mi hai chiesto di venirmi ad aiutarmi a scrivere il soggetto e io t'ho fatto venire, ma tu cosa mi hai combinato? Hai scelto tu stesso di scrivere la scena d'amore, e cosa mi hai tirato fuori? Lo vuoi sapere?
   Non lo volevo sapere.
    - Una minchia mi hai tirato fuori! Ma secondo te una minchia si alza se non c'è sentimento?
   - Secondo me sì. - dissi, stranamente convinto di quel che dicevo.
   Lui sbuffò e tacque. Evidentemente mi giudicava senza alcuna possibilità di recupero. E credo che avesse miliardi di volte ragione.
   - Beh, mangiamoci gli spaghetti ora, che sta per finire la pausa. -disse lui.
   - Sono scotti questi spaghetti. - dissi io.
   - E allora mangiamoci questi spaghetti scotti. - disse lui. - Non ne abbiamo altri a disposizione.
   Io volevo obiettargli che potevamo pure non mangiarceli, ma prudentemente me ne rimasi zitto.
   Sempre meglio non esagerare  con il genio, ragazzi, perchè non si sa mai cosa ti può  sparare contro a bruciapelo.
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LA BELLEZZA DOMINA IL MONDO

- Mi disprezzerai se ti mollo. - disse lei. - Voi maschietti fate sempre così. Invariabilmente. E' la vostra maniera moscia di reagire al rovescio.
- Ma che dici? Se sei figa sei figa. Mica cambi se vieni con me o vai con un altro. - dissi io con gran fare signorile.
L'avrei squartata con un coltello da macellaio se invece davo ascolto alla voce della bestia che era dentro di me. 
- Sei sicuro di quel che dici? - fece lei.
- Beh, se devo ammettere: un pò di merda me la stai facendo mangiare. - dissi allora io.
Ormai la storia era andata a puttane, come si suol dire. Solo che non sapevo indicare con esattezza se la puttana era lei o proprio io.
Fallito su tutta la linea anche stavolta con le femmine. Mi spostai sulla sedia per darmi un pò di tono, presi una rivista di poesia e mi misi a vedere chi era il bacchettone di turno che si faceva rompere le corna dalla Musa. Uno scoppiato qualunque. Un tipo vecchio come il cucco che sprizzava scarogna da tutti i pori. Buttai la rivista di lato e pensai alle scarogne mie.
- E ora che farai? - mi chiese lei, senza manco sapere dove andava a parare con una domanda fasulla come quella.
- Beh, se devo essere sincero continuerò a pensarti. Forse pure per spararmi qualche segone su di te.
Lei scoppiò a ridere e mi sfondò il petto con il tronco di quercia del suo stupendo sguardo.
La sua bellezza imperiale mi fece sentire un verme, nel mio umile buco di essere inconsistente.
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domenica 15 aprile 2012

FILM DI PERIFERIA

Lei era davvero tutta un'altra storia.
Andavamo in giro per tutta quanta la città, nei bar, nei tavernicoli, in tutti i dannati posti di perdigiorno della maledetta cinerama metropolitana. E non ci mollavamo se non dopo averci dato dentro di brutto.
E senza cambiare sistema nè litigare sulle balorde sempiterne questioni di frontiera di innamorati.
Ubriachi persi di amore e di gin.
Mani in fronte e toppe al culo.
Eravamo molto felici, disperati e sempre senza un soldo.
Io me ne fregavo, lei un pò meno.
Eravamo su di giri, col motore sempre sull'orlo del fusamento. Cristo, che scarpinate. Di diritto e di rovescio.
Tutt'un'altra storia. Davvero.
Ora che devo mettere punto mi rendo conto che sono ancora ubriaco fin da quei tempi lì. Mi gira sempre la testa a pensarci.
Lena era messa così bene che mi sbiancava sempre. Io, un fesso come un altro che non valeva niente. Mi davo solo delle arie. Ecco tutto. Ero un vanitoso. Terribile e vanitoso. E non me ne fregava niente.
Nessuno mi pagava per questo. Nè io mi aspettavo niente. Ma era come se la aspettassi almeno qualcosina per questo mio assurdo niente.
Anche ora che ne scrivo mi sembra una cosa da oggi le comiche. Io studiavo, per conto mio, John Steinbeck, come se dovessi anch'io descrivere da un giorno all'altro la mia valle dell'eden. Ma non ero in California io, ero nella maledetta Malano. Che risata!
Lei aveva 16 anni. Io 17.
In due facevamo la ragazzina con la colt e il buzzurro con la zappa. Rapine e un sacco di rape sulla mia schiena.
Tutt'intorno ci vorticava una rivoluzione senza capo nè coda. 
Io stentavo a crescere perchè tutto sommato mi credevo già vecchio di 1000 anni. Che ci potevo più fare?
Lei era una sbarbata. Io un bamba senza freno a mano.
Bla bla bla... Eravamo così giovani che non ne volevamo più  saperne nè di qualcosa nè di nulla...
L'amore a volte ti fa questo scherzo di pessimo gusto: rischi di sfracellarti e manco ci pensi.
GD ANGELILLO
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domenica 25 marzo 2012

LA LOTTA

- Marmittone, sì che le sai alla perfetta tu le cazzate. Hai sgrausi, per caso? No? Dì no che ti tiro uno sgagnazzo sul muso.
- Ce li ho ma mica mi viene in mente di darteli a un satanasso come te. Che ci vuoi fare? Sta' a sentire, uno sgrignazzo son capace pure io a ficcartelo sul muso, cetrione.
   Rimase zitto. E che avrebbe potuto mai dire?
Mi voltò le spalle, a suo rischio e pericolo, e si mise a guardare le gambe di una gran gnocca seduta lì vicino. Beh, il cambio gli giovò visibilmente.
   Io, solo ero prima e solo continuai a essere. Mi figurai, chissà perchè, che tutti si viveva come in certi sepolcri ambulanti per via di tutta questa maledetta solitudine. Le botte forse funzionavano perchè almeno un qualche contatto, seppur violento, c'era.
   - Perchè ve ne state sempre arrabbiati nella vostra vita? - disse Blus Brother. In questo era davvero in perenne missione per conto di Dio.
   - Per nulla.
   - Per nulla?
   - Certo. Maledizione più vuoto più merda uguale nulla. E' la matematica che lo dice. Così poi non può venire che la rabbia.
   Blus sbuffò come una belva in gabbia.
   - Ma davvero pensate quello che dite? Ma sul serio? Guardate che mai nessuno osa così tanto.
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